Girls in motion, tecnica e cuore

Girls in motion, tecnica e cuore

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Che cosa passa per la testa di una studentessa che ha deciso di intraprendere una carriera tecnica o scientifica? Cosa la spinge a voler diventare un ingegnere, un informatico, un fisico nucleare? È la stessa convinzione di una giovane di nome Samantha, che un giorno sarebbe diventata astronauta, o di una Fabiola che sarebbe arrivata a dirigere il CERN?

Chiedetelo alle venti ragazze scelte per partecipare al progetto Girls in Motion, ideato dal Network delle Presidenti di cui fa parte anche Patrizia Grieco: studentesse top di istituti tecnici di tutta Italia (e anche un paio di licei) a cui è stata offerta un’opportunità unica, otto giorni in viaggio per l’Italia - da Milano a Napoli - a scoprire e toccare con mano l’eccellenza tecnica nazionale nei luoghi dove questa si realizza e dove un giorno tutte loro potrebbero rivestire un ruolo di responsabilità.

Dalla cabina di condotta del treno alta velocità Frecciarossa 1000 alla sala operativa delle reti ferroviarie italiane, da una piattaforma offshore dell’Eni al cuore della diga di Suviana e della centrale Enel di Bargi, dove il caso ha voluto che la visita fosse guidata da due ingegneri donna.

Un viaggio per raccontare la cultura tecnica al femminile con testi, immagini e video da condividere sulla pagina Facebook di WIM - Women in Motion e ispirare altre ragazze come loro a scegliere un corso di laurea o una carriera professionale nei settori tecnico-scientifici.

Bene, chiedetelo a queste venti ragazze che cosa passa per la loro testa, e avrete qualche sorpresa: perché, nonostante le statistiche dicano che in Italia meno del 20 per cento degli iscritti a istituti tecnici o a facoltà scientifiche sono ragazze, che il 60 per cento delle giovani percepisce forti pregiudizi nei propri confronti nelle aree tecniche, e che oltre la metà di loro dichiarano di non avere sufficienti modelli di riferimento femminili, le studentesse di Girls in Motion hanno idee molto chiare.

Per esempio Alice Gaggero, diciottenne genovese che lo scorso anno – ancora minorenne – ha ricevuto dal Capo dello Stato Sergio Mattarella il titolo di Alfiere della Repubblica per un articolo sulle particelle subatomiche: “Ho sempre amato la matematica, fin da piccola” dice. “Sento un’affinità naturale, una specie di dono, e non vedo perché non dovrei metterlo a frutto: mi piacerebbe farlo diventando ricercatrice, magari al CERN di Ginevra, o nel settore delle energie rinnovabili. Sono convinta che in questi campi una donna possa portare un grande valore aggiunto: specie se madre, dunque abituata a gestire contemporaneamente le problematiche di casa e lavoro, ha un innato istinto organizzativo.”

Ana Sanchez, studentessa all’ITIS Galvani di Milano e avviata a un percorso accademico in campo informatico, che, mentre visitava uno dei cunicoli d’ispezione della diga di Suviana, dove una delle due donne ingegneri ha illustrato il funzionamento degli strumenti per monitorare i parametri della struttura, ha avuto quella che definisce una specie di illuminazione: “Ho pensato che forse attraverso un sistema di sensori si potrebbe evitare ai tecnici di scendere nella diga e fare tutte le rilevazioni da una centrale remota”.

O ancora Lisa Dragotto, diciottenne triestina con l’ambizione di approdare a un lavoro manageriale nei cantieri navali: “Vorrei arrivare a gestire un team. Anche tutto di uomini, perché no. In ambito tecnico o scientifico, una donna è in grado di portare il lato umano che spesso manca. È in grado di portarci il cuore”.

Un pensiero che ricorda quello che disse Marie Curie, scienziata polacca, due volte Premio Nobel: “Non dobbiamo lasciar credere che ogni progresso scientifico si riduca a dei meccanismi, a delle macchine, a degli ingranaggi”.