Open Italy, la via italiana all’innovazione

Open Italy, la via italiana all’innovazione

L’accesso al mercato delle grandi imprese, la velocità di movimento delle piccole, il capitale di rischio di un venture capital finalmente maturo. Una combinazione perfetta, difficile ma non impossibile.

Open Italy, organizzato da Enel Foundation in collaborazione con AIFI (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt) e con il patrocinio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha provato a disegnare la via italiana alla Open Innovation, l’innovazione aperta, un concetto coniato 15 anni fa da un economista americano, Henry Chesbrough, che da allora si è imposto come un paradigma di successo nel mondo dell’impresa.

Il 31 gennaio al Politecnico di Milano Open Italy ha raccolto attorno a un tavolo quattro grandi imprese italiane (Enel, Poste italiane, Ferrovie dello Stato e Leonardo), una media impresa tecnologica (gruppo Loccioni), un incubatore universitario di eccellenza (PoliHub), una startup di successo (Athonet) un fondo d’investimento (Vertis) e l’Associazione italiana del private equity per provare a capire opportunità ed aree di miglioramento del modo di fare innovazione in Italia. Il tutto alla presenza del Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e in un contesto, quello del Politecnico di Milano – partner strategico di Enel, che rappresenta un esempio di ecosistema avanzato di innovazione made in Italy.

 

Il fattore sostenibilità 

“L’Italia è uscita dalla crisi, ora deve attrezzarsi per guardare al futuro: l’innovazione serve per sostenere la crescita in modo permanente” ha detto in apertura Padoan che ha spiegato quante tipologie di incentivi fiscali siano ormai a disposizione per chi voglia investire in innovazione nel nostro Paese: dalle detrazioni per le startup agli iper e super-ammortamenti previsti dal pacchetto Industria 4.0. Tutti strumenti per stimolare il private equity.

 

“La Open Innovation è un investimento a lungo termine e comporta un cambiamento del modello di management e di cultura aziendale: aprire il perimetro aziendale all’esterno non solo per ottenere conoscenza ma anche per concederla in un’ottica di cooperazione”

– Pier Carlo Padoan, Ministro dell’Economia

L’innovazione oggi è frutto di una combinazione di fattori, ma “la devono fare le imprese, non lo Stato”, ha concluso Padoan.

Già, ma quali imprese? Le grandi sono le uniche capaci di sviluppare massa critica, ma spesso non sono capaci di muoversi con l’agilità necessaria per produrre innovazione. “È più difficile per le grandi imprese portare avanti l’innovazione di tipo disruptive”, ha ammesso Renato Mazzoncini, AD e Direttore Generale di Ferrovie dello Stato. Un giudizio condiviso da Matteo Del Fante, AD e Direttore Generale di Poste Italiane, e da Alessandro Profumo, AD di Leonardo.

Di qui la necessità della Open Innovation, cioè di guardare all’esterno, fuori dal proprio giardino. Come ha fatto in questi anni Enel, un modello di innovazione aperta raccontato dall’AD e Direttore Generale Francesco Starace.

Nel settore industriale delle utility non aprirsi all’esterno è un errore grave nonché un freno per l’innovazione. Questo però richiede un cambiamento profondo del modello di business per trovare soluzioni sostenibili nel tempo. 

 

“La sostenibilità è stata per noi il motore dell’innovazione, che abbiamo iniziato a cercare anche fuori dalla nostra azienda. I nostri Innovation Hub sono finestre di ascolto sul mondo per ridefinire il ruolo dell’energia nell’affrontare le sfide del nostro tempo”

– Francesco Starace, CEO Enel e Presidente di Enel Foundation

Ecco quindi l’apertura di Enel Innovation Hub in tutto il mondo, da Tel Aviv a Mosca, da Santiago del Cile alla Silicon Valley, “dove andiamo a proporre problemi da risolvere, perché avere problemi da risolvere è di per sé l’inizio di un processo innovativo”.

I risultati si vedono: il Gruppo Enel ha fatto scouting di oltre 2800 startup, più di 200 idee sono passate alla fase di screening, circa 140 sono stati i progetti attivati di cui 35 sono già in fase di scale up. “Ma noi non investiamo direttamente in startup, non pretendiamo di diventare proprietari del know how, ma vogliamo dare alle startup una straordinaria opportunità di crescita a livello globale. Al contempo fare ciò – andare fuori e aprirci all’innovazione – è stato per noi uno stimolo incredibile”.

 

Capitale umano, non solo tecnologia 

Insomma, “non bastano più le call for ideas: le imprese non devono essere solo fruitori di innovazione ma devono partecipare al processo” è l’opinione di Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano, fiero dei numeri del suo ateneo: 113 startup ospitate nell’incubatore, 1500 brevetti depositati, 1270 idee valutate in un anno, 113 progetti sviluppati. Numeri che fanno di PoliHub “il secondo incubatore universitario in Europa”, un vero e proprio distretto tecnologico nel quartiere Bovisa

“È il momento di investire in capitale umano: le nostre imprese devono interpretare il cambiamento, sviluppare tecnologie innovative e programmi di ricerca” è il richiamo del Rettore, che sembra descrivere il Gruppo Loccioni, una media impresa marchigiana capace di coniugare tecnologia (robotica) e territorio investendo sulla formazione. “Noi siamo un’impresa della conoscenza” è la definizione del fondatore e presidente Enrico Loccioni, che ricorda la lezione di Adriano Olivetti. “L’importante è l’apertura al cliente, l’azienda che ci sottopone un problema: noi reinvestiamo i nostri utili in sviluppo, innovazione e integrazione del capitale umano, nel nostro Gruppo una persona su dieci si occupa di innovazione”.

Un modello di Open Innovation made in Italy, così come quello di Athonet, una piccola azienda di telecomunicazioni innovativa rientrata in Italia dopo 15 anni all’estero e vincitrice del Global Mobile Award nel 2016. “Per noi è stata fondamentale la collaborazione con Enel che ha apprezzato la nostra idea e ci ha aiutato a trovare un mercato” spiega l’AD Karim El Malki.

 

Innovare stanca?

La nuova frontiera è Industria 4.0, l’IoT – l’Internet delle cose – applicata alla manifattura e ai servizi, nonché la disponibilità e l’utilizzo dei Big Data. Un profondo processo di digitalizzazione che sta investendo anche imprese pubbliche come Poste italiane, Ferrovie dello Stato e, naturalmente, Leonardo, il colosso italiano della difesa e dell’aerospazio. “Per noi fare Open Innovation oggi è la capacità di rispondere a un mercato che sta cambiando radicalmente” spiega Profumo. “I Big Data possono cambiare la manutenzione predittiva dei nostri treni” è l’opinione di Mazzoncini.

Attenzione, perché “innovare stanca” avverte Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI, parafrasando Cesare Pavese. “L’innovazione per definizione scardina il mercato e cambia le gerarchie: un’impresa che voglia conservare rendite di posizione è naturalmente contraria”. 

 

“Le barriere all’ingresso si stanno abbassando e l’innovazione è una necessità: le aziende devono avere un approccio e uno sguardo interdisciplinare su tutti i settori, non solo su quelli della propria filiera”

– Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI

Guardarsi intorno per guardare avanti: alla fine l’idea di Open Innovation è proprio questa.

Oggi tutti i segnali ci chiedono di essere più determinati e fiduciosi. È il momento di investire in capitale umano, alta formazione e nuovi paradigmi industriali: il nostro sistema Paese ha tutte le carte in regola per essere leader nel mondo.